23 agosto 2012

Da una bolla a un'altra, dodici anni di "governi d'emergenza" e di austerità per "gestire la crisi" in nome delle banche

Prendo spunto da questo interessante articolo apparso di recente sul quotidiano online Greenreport, si parla della scarsa memoria storica dei cittadini americani.

In effetti, riflettendo sugli accadimenti macroeconomici e finanziari che hanno caratterizzato i primi vagiti di questo nuovo millennio, notiamo un susseguirsi di crisi finanziarie e di un relativo continuo stato di allerta, che dal 2000 ad oggi ha giustificato misure draconiane e liberticide in occidente e atti squadristi nel resto del mondo, petrolifico medio oriente in testa.

Si parte alle grande con lo scoppio della bolla dei titoli tecnologici ed il relativo crollo dei mercati finanziari dei primi mesi del 2000, con i suicidi di massa in stile 1929 dei broker e trader di borsa, e delle ripercussioni nefaste che questo crollo ebbe riguardo la gestione della economia reale.

Si prosegue con una nuova crisi, quella successiva all'11 settembre 2001, quando insieme al crollo delle due torri del World Trade Center venne scossa fino alle fondamenta l'intera economia mondiale, portando alla ribalta la teoria del double dip.

Si continua con lo scoppio della bolla dei mutui sub-prime e così facendo, fra picchi e baratri di borsa, fra finanza, debiti ed economia reale, arriviamo ai giorni nostri, con la crisi degli emittenti pubblici.

Di fatto l'economia occidentale non ha pace da dodici anni.

Quali furono le risposte a queste crisi? Nel 2000 la politica espansiva e le liberalizzazioni finanziarie e bancarie volute da Alan Greespan per dare ossigeno ai mercati spalancarono la porta alla finanza creativa delle locuste di Wall Street. Col nuovo crollo seguirono le leggi liberticide di George W.Bush "rese necessarie" dalla lotta contro "l'impero del male". Il crollo del mercato immobiliare globale portò in dote un taglio netto ai patrimoni dei possessori di beni immobiliari (e mise sul patibolo quelli che grazie a quei beni avevano ottenuto dei prestiti). Coi baratri nei meriti di credito degli stati periferici della Unione Europa infine, sono stati attaccati anche i risparmi mobiliari, nonché la possibilità di finanziamento di alcune nazioni. Il risultato è l'erosione di buona parte della libertà della stragrande maggioranza della popolazione occidentale.

La domanda è se e come il popolo d'occidente ricordi questa concatenazione di eventi, o se sia finito col convivere con il suono dell'antiaerea. La risposta ce l'ha riportata l'articolo da cui parte questa riflessione.

Sono dodici anni di sacrifici, in Italia ci sono due generazioni che ancora attendono di uscire e di entrare dal mondo del lavoro. I responsabili sono sempre gli stessi, quelli che hanno architettato la finanza a cavallo fra i due millenni. Di loro sappiamo per certo che non rispondono che agli utili da portare ai loro consigli di amministrazione, sappiamo che non possiamo contare sui "cani da guardia" che dovrebbero vigilare sul loro operato, sappiamo addirittura che queste aziende esercitano pressioni su governi, riuscendo a imporre politici a loro graditi.

Contestualmente l'occidente è seppellito dalle informazioni, il giurassico è giusto ieri sera, e seppelliti sotto a questa mole non riusciamo a percepire che stiamo passando da una emergenza ad un altra, che la gestione di queste emergenze ha autorizzato i governi a misure estremamente impopolari, e che uscendo da una crisi  per entrare in un altra avvertiamo distintamente il passaggio del diritto a privilegio.

Io questa cosa la chiamerei liberismo.

economia
resistenza

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18 agosto 2012

Il caso Ilva, dove ambiente e occupazione sono due concetti antitetici

Cosa viene prima, la salute di migliaia di cittadini o i lavoratori dell'Ilva?

Quale di questi diritti ha la precedenza? l'ambiente o l'occupazione?? La quadratura del cerchio starebbe nei calcoli da grana fine della politica, e questo è il reale punto della situazione: il caso Ilva palesa un grosso corto circuito istituzionale, che ci porta a considerare due amare verità: per primo il grado di pericolosità che è in grado di raggiungere una classe politica inappropriata all'interno di un sistema privo di reali contrappesi (magistratura esclusa, ma la sentiamo soltanto adesso, da anni Taranto è stabilmente la città più inquinata d'Italia). La conseguenza è peggiore di una piaga d'Egitto, e varrebbe la pena rifletterci bene sopra, penso agli implicati a vario grado in questa vicenda, sulla convenienza, la contropartita mefitica su quanto realizzato, la conseguenza la stanno inalando loro stessi, con le relative famiglie e Taranto tutta. A prescindere dall'importo credo ci sia da darsi del fesso (nonché del criminale). Penso poi a chi ha messo questi politici dentro alle istituzioni, colpevoli anche loro, penso a tutte quelle persone che stanno lottando contro questa madornale ingiustizia, e a tutti loro stringo idealmente la mano. Concludo riflettendo commosso su quelle persone che stanno pagando sulla loro pelle le conseguenze di questa industrializzazione, quanto devono aver bruciato queste parole.

Il secondo punto è altrettanto dolente, per me lo è soggettivamente, perché politicamente realizza quasi un loop: quando si parla di posti di lavoro e di industrie che inquinano il territorio dove vivono migliaia di cittadini la posizione per un politico degno di rispetto può essere solamente una: o con i lavoratori o con chi è costretto ad avere a che fare con gli effetti collaterali di questa industria. Non sopporto assistere agli atteggiamenti melliflui di chi sta con il piede in due staffe.

La soluzione, la quadratura del cerchio di cui prima, andrebbe trovata col conforto nei numeri: quanti occupati, quanto indotto, e quanto, suggerirei, costerebbe alla collettività mettersi alle spalle l'Ilva e socializzare, farsi carico degli stipendi di questi lavoratori.

Ma a questo punto il crinale inizia a farsi pericoloso, già, socializzare il sociale sarebbe percepito come una sorta di tecnica di frontiera, a noi che è permesso socializzare solamente i crimini delle banche.

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ambiente
occupazione

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10 agosto 2012

L'assessore, la Daxo, il Wi-Fi


NB: Aggiornamenti in calce alla presente.

Sono rimasto colpito da uno dei commenti apparsi su questo post pubblicato alcuni giorni fa sul seguitissimo quotidiano online Qui Livorno. Si parla della installazione di nuovi accessi Wi-Fi nei luoghi pubblici del nostro comune.

Il commento in questione, pubblicato da Roberto1, pone una domanda interessante, che copio e incollo di seguito:
«Chi ha vinto l'appalto per mettere gli Access Point? Io di gare non ne ho viste!! Qual'è il costo infrastrutturale? Le ditte appaltatrici mica hanno relazioni con la Daxo, di proprietà dell'Assessore stesso? VORREI UN PO' DI TRASPARENZA GRAZIE.»
A questa domanda ha provato a rispondere il Comune (non trovo il link al post) ma la risposta mi è parsa lacunosa. Così ho depositato questo atto, chiedendo quale azienda realizzerà gli access point.

Il mio approccio su questa notizia è sterile, scevro da giudizi o supposizioni, o provocazioni politiche o addirittura personali. Fino alla risposta dei nostri "recettori" istituzionali il fatto è buono per la pubblicazione esclusivamente per l'informazione relativa mero atto prodotto, fino a quel momento ogni giudizio espresso è affrettato.


Allego di seguito la copia dell'atto, impegnandomi ad integrare appena ci saranno nuovi sviluppi vv. aggiornamento sotto.

copia atto


AGGIORNAMENTO: Qui per sapere com'è andata a finire.

AGGIORNAMENTO 2: 19/11/2013 Il Bando è stato vinto dalla Tiscali,  viene quindi meno la questione sollevata dal lettore.

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Circocrizione3

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9 agosto 2012

I non votanti, una insuperabile risorsa per l'establishment dei Partiti

Altro spunto proveniente dalla lettura di Considera l'aragosta dello scrittore americano David Foster Wallace, davvero un bel saggio.

Voglio condividere con voi quanto letto fra pagina 229 e 231, si parla di non votanti, nella misura in cui più una campagna politica è disgustosamente cinica e noiosa più gli elettori tendono a girare alla larga dai seggi, più questo favorisce i voti per il locale establishment, che possiede i voti degli "irriducibili", gruppi che, per dirla come DFW, votano per chi gli viene detto di votare.

E' un paradigma importante. Agli apparati torna utile attirare meno votanti possibile, perché le affluenze basse favoriscono i politici già in carica.

Quindi - conclude DFW - elettori giovani e annoiati dalla politica, che non vi disturbate a votare, di fatto votate per gli arroccamenti dei due principali partiti, i quali, statene certi, stupidi non sono, anzi hanno profonda cosapevolezza di quanto gli convenga mantenervi in una condizione di disgusto affinché il giorno del voto ve ne restiate a casa a vedere Mtv.

Non votare è impossibile. O voti votando, o non facendolo raddoppi il voto di un irriducibile.

CantiereSinistra

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4 agosto 2012

Dubbi su un precetto della religione cattolica

Il credente cattolico è convinto di andare all'inferno se compie una cattiva azione e di andare in paradiso se ne compie una buona.

A riguardo io avrei il seguente dubbio in grado (credo) di rendere un filino instabile questo semplice precetto:

Se io faccio una cosa brutta come ad esempio "schiacciare" tre zanzare, e poi faccio attraversare tre vecchiette torno in pari? mi vengono "compensate" le tre zanzare?

Se fossi una delle mie tre vittime troverei questo fatto profondamente ingiusto, e questa ingiustizia verso le tre zanzare sarebbe cosa ben poco divina.

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religione

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1 agosto 2012

Civiltà standard

Fino alla metà del secolo scorso, metà non a caso coincidente col boom degli anni cinquanta, se volevi qualcosa dovevi fartela realizzare.

Dallo spillo all'elefante, dalla cravatta al divano di casa, tutto passava attraverso le sapienti mani di esperti artigiani, e tutto, dalla cravatta al divano di casa, brillava di fulgida unicità.

Nessuna taglia, anzi una taglia sola, quella desunta dal metro del sarto e del falegname applicata alle proprie misure ed esigenze. Roba da ricchi.

Al netto delle evoluzioni tecniche, provate a mettere una automobile della metà dl secolo scorso accanto a una sua replica moderna, cromo e acciaio accanto a gomma e plastica, volitive lamiere dalla forma battuta a mano dai battilastra accanto alle grossolanità delle forme pressate a caldo dei moderni parafanghi, finiture da orologeria contro interni dai particolari standard, stesso pomello dalla citicar alla supercar.

E che dire della moda? negli anni cinquanta semplicemente non c'era, ed ognuna/o erano liberi, nella forma del decoro, anche borghese, di andare a giro con abiti sartoriali.

Oggi abbiamo invece questa cosa chiamata moda, che in realtà è un mostro, che dai media ci propina prototipi, castranti per i più, e che ci standardizza in grigi replicanti di questi riferimenti, coniugati in sole tre taglie. Corpi bellissimi nelle loro differenze resi tutti uguali, small, medium, large.

Dalla standardizzazione esteriore a quella interiore il passo è breve: tutti portati a censurare i differenti, una cosa davvero orribile.

Da qualche tempo abbiamo preso a standardizzare anche il nostro modo di esprimerci, alzi la mano chi non conosce un amico che da qualche tempo ha iniziato a dire "Anche no."

Per non parlare dei pericolosi assoggettamenti mentali che conseguono a questa standardizzazione, c'è un esempio che rende bene l'idea, un primario ed una assistente che vanno in sala operatoria con scarpe della stessa marca, solo che per lui il costo per acquistarle è stato risibile, mentre l'altra ha invece pagato salatamente la logica dell'apparire.

E' questo il consumismo, che ci irreggimenta e ci trasforma in tanti scoiattoli incialtroniti e schiavi delle proprie ruote, persi a girare a vuoto per stare al passo con gli altri.

Stiamo procedendo tanto decisi verso questa nostra involuzione che presto o tardi arriverà qualche altra razza animale a comunicarci la gravità della regressione.

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