5 maggio 2012

La realizzazione di una società egalitaria passa per la lotta al nepotismo

Verso la fine del romanzo "I Buddenbrook" un Thomas immalinconito e consumato dalle apparenze borghesi, osservando il figlio cagionevole e riflettendo sul triste destino della propria azienda, sulla quale è stata piegata la sua intera vita oltre a quelle delle quattro generazioni che lo hanno preceduto, immerso nella certezza che alla sua morte quanto costruito si sfalderà inesorabilmente, trova l'ideale salvezza abbracciando i giovani imprenditori del mondo ed erigendoli a destinatari ideali di quanto impalcato nella sua esistenza.

E' un passaggio di consegne immateriale, intellettuale e filosofico, una rinuncia ed anche un abbandono, ma anche uno sfumare dalla piena abnegazione al mito della proprietà fino al suo opposto, la socializzazione.

Da qui parte questo spunto: possono le riflessioni di un prototipo del mondo liberale essere tradotte in chiave riformista?

Thomas alla fine vende l'azienda al miglior offerente e lascia tutte le sue sostanze in eredità alla moglie. Mi sono chiesto, e se invece Thomas fosse andato oltre al tramando degli ideali, se avesse compiuto un secondo passo, lasciando i suoi beni materiali allo stato e non alla sua famiglia?

Riflettendo sui Buddenbrook mi è venuto un parallelo fra eredità e nepotismo, se tutti noi invece di scrivere testamenti ai nostri familiari lasciassimo i nostri beni materiali alla comunità? Non è anche il testamento una forma di nepotismo? una interferenza che distorce la vite dei nostri figli, scindendoli in due distinte classi sociali, fra chi può contare sulla eredità e chi non può?

Non otterremmo una società più egalitaria se ciascuno di noi con la morte restituisse alla collettività quanto ha da questa ottenuto in vita? Non contribuiremmo a far emergere chi ha impegno e intelligenza invece che contribuire a generare persone ricche e bolse che spendono soldi ottenuti senza faticare e persone che, pur avendone i mezzi intellettuali, non hanno la possibilità di realizzarsi perché né famiglia né stato possono prenderle per mano?

E poi: I beni rinvenienti dalla socializzazione di questi lasciti non aiuterebbero la nostra comunità, non ne avremmo tutti un beneficio? non ricadrebbero "a pioggia" su tutti noi sotto forma di beni comuni?

Questo discorso, al netto del fatto che la strada per la società perfetta passa dalla lotta al nepotismo, è una mera provocazione nonché una utopia, perché mai nessun politico porrà la sua immagine su qualcosa del genere, così come ben pochi elettori sarebbero mai disposti a seguire un discorso del genere, ed infine perché mai nessun rivoluzionario riuscirà a fare una rivoluzione ponendo questa riflessione sulla sua baionetta, semplicemente perché mai nessun italiano farà mai una rivoluzione, troppi palinsesti.

Gli estremismi sono come quei pesci-spazzino degli acquari, sono strani ma utili, gli estremismi sono quei paletti che delimitano gli argini al cui interno fluiscono i discorsi realizzabili (cito a braccio non ricordo chi).

Ho iniziato con Thomas Mann, chiudo con Che Guevara, che nella ultima lettera a Fidel Castro scrive:
« [...] non lascio a mia moglie e ai miei figli niente di materiale, ma questo non è per me ragione di pena: mi rallegro che sia così; non chiedo niente per loro perché lo stato gli darà il necessario per vivere e per educarsi.»
#CantiereSinistra

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