29 maggio 2012

Il sacrosanto diritto ad uccidersi

Di tutte le specie animali che popolano questo pianeta solo una è in grado di concretizzare un suicidio, questa specie è la nostra.

Il suicidio, un sommo atto di libertà, è uno dei frutti della nostra intelligenza, le restanti specie possono andare avanti fino alla loro morte naturale, vivendo una vita indegna di essere vissuta.

Noi no, noi che percepiamo l'ineluttabilità del nostro quotidiano possiamo decidere di liberarcene, e lo facciamo consapevolmente e con coraggio.

Che nessuno giudichi un suicida, a nessuno dovrebbe essere consentito, perché dall'esterno non si può coniugare l'oggettività degli eventi che hanno condotto a quella scelta con gli strati interiori di chi l'ha operata.

Il suicidio è il più religioso dei diritti, non c'è n'è un altro dopo, non c'è niente di più lontano dalla restante comunità, anzi, questo diritto ne è agli antipodi, come plutone per il sole.

Questa distanza siderale, incolmabile, fra un singolo e la sua comunità, rilega questi eventi lontano dalle leggi della politica o delle religioni.

Resta una comunità, a piangere un morto, chi lo fa amaramente, con i volti rigati dalle lacrime, chi rimane attonito, chi, non accettando la forza di questo evento, volge la testa altrove, e chi da questo gesto viene trapassato, impalpabile.

La forza di una comunità sta nel riuscire a tenere vicino a se tutti i sui figli, perché la vicinanza è la vera religione, una religione laica, e può riuscire a schiarire il buio, o può lenire alcuni dolori.

Ma quello delle colpe di questa società è un altro discorso.

Resta innegabile il diritto al suicidio, opporvisi porta a negare il primato dell'essere umano sulle altre specie animali.

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