15 aprile 2012

La globalizzazione è una pippa



Questo post è uscito su "Cronache Laiche"

Il fatto che il tasso di crescita della economia cinese abbia subito una contrazione (per la quinta volta consecutiva, rilievi trimestrali) dovrebbe farci balzare dalla sedia e sciamare verso il più vicino supermercato a fare incetta di scatolame. Invece niente, per adesso tutto tranquillo.

Eppure anche l'ultimo dei quadrumeni sa che la tela tessuta in questi ultimi anni dalla economia occidentale dei capitali (privati e non di tutti), economia esangue, anemizzata dalle barbariche scorribande delle locuste della finanza (finanziate dai nostri governi, uno scempio ed un incesto) è impalcata sul boom del fu "Celeste Impero".

Guardando a ciò che è stato alle nostre spalle vediamo quello che segue un boom, ovvero uno "sboom". E' statistico, basta vedere la parabola italiana, dagli anni sessanta a oggi, oppure osservare la dinamica giapponese, che negli anni ottanta ruggiva come la Cina di oggi e che ora è in stagflazione da trent'anni, oppure gli Stati Uniti, dai baby boomers a Regan.

Adesso tocca ai cinesi, la cui economia non poteva espandersi all'infinito, gente che a prescindere dovrà iniziare a guardarsi allo specchio, cogliendo l'insostenibilità che sta a monte del lavorare la domenica mattina, del non avere sindacati, del vivere nell'inquinamento, facendolo in una Repubblica socialista.

Una recessione cinese non significa soltanto una recessione globale, se questi smettono di crescere chi comprerà i dollari agli americani? E chi garantirà il salvataggio del nostro piccolo staterello quando questa immane burrasca ci cadrà addosso?

Ci hanno inoculato alcune purghe mentali, c'è quella del mercato del lavoro, che deve essere dinamico, quella del vincolo di bilancio, che deve essere in pareggio, quella sui beni comuni, che devono essere economicamente sostenibili.

Perché? perché investono le multinazionali, e aprono bottega se il mercato del lavoro è dinamico (bugia,  la leva è la tassazione favorevole). Perché sennò gli investitori, quelli grossi, quelli esteri, rallentano il finanziamento del nostro debito. Ed infine (terza risposta) perché il riassorbimento del nostro debito pubblico "pare" abbia la precedenza sul mantenimento dei beni e dei servizi comuni, ce lo chiede il mondo.

A dispetto dei gangli nei quali ci stanno portando i neoliberisti e le loro controriforme, sintetizzando, mi pare di poter essere in grado di sostenere che l'averci interconnessi a questa griglia globale ci abbia reso dipendenti dall'estero e quindi deboli e ricattabili.

Penso ad esempio all'Islanda, che è energeticamente indipendente, poi guardo qui, a tutti quei tubi ai quali è attaccato questo Paese, se la Cina crolla la mia cucina a gas quanto ne risentirà? poco? così-così? zero gas? bolletta stratosferica????

Senza giungere a parlare di autarchia, comunque, se fossimo stati meno dipendenti dall'estero, tipo riguardo i suddetti approvvigionamenti energetici, non sarebbe stato un male.

Senza tirare in ballo l'eolico o il solare, vedendo quello che ci offre la nostra orografia, siamo un Paese geograficamente predisposto all'idroelettrico, invece di chiedere gas ai russi e al nord Africa (stabilissimo) non era forse meglio investire in qualcosa del genere? Gli islandesi lo hanno fatto, si sono guardati cosa offriva il territorio e si sono approvvigionati energicamente con la geotermia, mica si sono messi a tirare giù tubi fino alla Russia.

Perché se domani crolla l'economia globale gli islandesi hanno caldo ed elettricità, noi invece siamo al freddo e al buio, perché abbiamo colto al volo le infinite opportunità offerte dal mondo globalizzato.

Hashtags
#energie
#globalizzazione

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento