27 ottobre 2011

L'allungamento della vita lavorativa anemizza i giovani lavoratori

Il loop nel quale ci stiamo avvitando con le pensioni pubbliche mette i brividi peggio di un thriller di Hitchcock.

Questo non solo perché, cercando di trattenere più gettito redistribuibile possibile, si sta evitando di "accendere" altre posizioni pensionistiche e si tengono a lavorare gli ultra sessantenni, persone che già hanno dato e che pregustano da anni il diritto alla pensione.

Soprattutto, e questa è la vera piaga, il "babau" gigante, quello che nessuno si arrischia ad additare, si sbarra la strada del mondo del lavoro ai più giovani, quelli che oggi, fra il silenzio dei più e qualche colpo di tosse, si stanno sobbarcando il costo di questa crisi.

Le posizioni non chiuse, questi posti di lavoro "zombi", creduti terminati e invece tenuti in vita dal presente governo su imposizione euroliberista, sono posti di lavoro mantenuti dalle vecchie generazioni a danno delle nuove.

Se vedessimo la crisi attuale e le presenti distorsioni da questa generate con la lente del "come sarebbe dovuta andare a finire" vederemmo infatti centinaia di migliaia di giovani seduti sui posti di lavoro lasciati vacanti dai sessantenni.

Sarebbero contenti tutti, i primi finalmente sfociati nell'alveo della vita matura, gli altri finalmente liberi dagli orari a godersi la sospirata tranquillità. Con lo slancio generato dall'ingresso delle nuove generazioni immagino sarebbero contenti addirittura quei fanatici del Pil.

E invece. Stiamo assistendo allo sviluppo arrestato di due distinte generazioni, quella dei nonni e quella dei nipoti. Gente strozzata, dal futuro compresso per colpa di questa "crisi" che per altro nemmeno hanno contribuito a provocare. Destini sospesi nel nome di dissesti bancari generati da speculatori internazionali.

Poi c'è chi obietta se volano i sanpietrini.

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