22 settembre 2011

Anatomia patologica del Partito politico : a che servono le tessere, possiamo farne a meno?

Che cosa rappresenta la tessera del Partito e perché a molti fa comodo averla nel portafogli?

La tessera politica è il mezzo fisico con cui si riporta ad assoluto tutto quello che di potenzialmente democratico vi è in un partito, è una specie di peccato originale.

Se è vero il detto che "il pesce puzza dalla testa" questa testa nella trasposizione partitica è sicuramente "la tessera", da li ammanta tutta la politica, e non è che questa testa puzzi di per se, è il modo in cui questo vertice è arrivato dov'è a puzzare terribilmente.

Che cos'hanno le tessere che non va? due risposte: La prima deriva dalla domanda «Come mai i Partiti hanno pochi tesserati?» La sua risposta passa, nei livelli locali, attraverso le mire di controllo del Partito, chi lo detiene è poco incline a fare nuovi tesserati perché se è vero che a molte tessere corrisponde una politica pienamente democratica è anche vero che la vastità delle variabili conseguenti agli indirizzi dei molti tesserati tende a sfuggire al controllo dei locali Capataz. Con pochi tesserati invece le teorie si semplificano e di parecchio, e "la conta" per il controllo locale diviene più semplice. Diluendo la base del partito poi se ne compromette la presa in chiave congressuale.

Le tessere quindi sono causa di quel meccanismo che ostacola la partecipazione partitica.

L'anomalia causa la patologia, che è la seconda risposta: dato che gli iscritti al Partito sono in numero relativamente basso, spesso arriva un politico locale, un pesce grosso, un mercante di tessere, che, in accordo oppure in rotta col Partito di provenienza, paga l'iscrizione a una ventina fra amici, parenti e persone bisognose per poi candidarsi al congresso e togliere da sotto al naso il controllo dell Partito alla gestione precedente.

Al secondo problema ci sarebbe una facile soluzione: vietare per un certo tempo incarichi politici ai nuovi tesserati, e più in generale tendere a crescere in modo sano strutturandosi dall'interno. Stranamente però queste contromisure non vengono mai inserite nelle mozioni congressuali perché tendono a finire invece fra i piedi dei vertici centrali, che non potrebbero più inserire il mercante di tessere di turno, a loro utile non in chiave congressuale ma elettorale, dove i voti promessi (e non le tessere), lo "zoccolo duro" di tale mercante, danno adito a speranze in una performance migliore.

Via le tessere via i problemi.

Ma spalancare le porte del Partito rischia di tradursi in un'anarchia nella quale prospererebbe qualsiasi apparato, al quale basterebbe far partecipare ai lavori alcuni tesserati per per fare breccia.

La domanda è da porsi quindi è: Esiste una via alternativa alla tessera di partito?

Non lo so, ma vi lascio questa mia idea, il voto a coefficiente. Basta sostituire la tessera con la mera data di iscrizione al Partito, affiancando a questa un coefficiente che diminuisce o aumenta il peso specifico del voto in base alla anzianità, e alla qualità, della militanza.

Due esempi: Riconoscere a una anzianità di cinque anni un coefficiente di 1.5 porterebbe il voto corrispondente a "pesare" come quello di una persona e mezzo. Riconoscere un coefficiente 0.5 a una iscrizione con anzianità di meno di due anni farebbe invece corrispondere il voto ad un "mezzo voto".

A maggiore protezione di questo organismo, e a deterrenza di quei tesserati (mogli, fidanzate, genitori ed amici fraterni) che si fanno vedere soltanto in concomitanza dei congressi, sarebbe auspicabile far decadere la data di iscrizione (e far tornare a 0.5 il coefficiente) a chiunque non frequenti il Partito almeno tot volte ogni tot mesi.

Autocritica del coefficiente: Se è vero che questo "peso variabile" può essere un valido deterrente ai mercanti di tessere, è anche vero che da solo non basta, in primis perché premia la frequentazione invece dell'effettivo contributo alla direzione politica locale del Partito, poi perché favorisce chi già detiene il controllo, e infine perché risulta poco meritocratico, disincentivante per il nuovo iscritto che ha quindi meno stimoli ad apportare il proprio contributo.

Potremmo integrare il coefficiente con un "merito" ovvero una integrazione extra del coefficiente da riconoscere ai frequentanti oggettivamente meritevoli?

La riprova della effettiva bontà di questa teoria si ottiene verificando la deterrenza sul mercante di tessere nel l'atto di impossessarsi di un Partito così strutturato: Riuscirebbe a prendere il controllo?

Non avendo ne lui ne i suoi l'anzianità necessaria, arriverebbero al congresso con i voti dimezzati dal coefficiente. Dissuasi dal tentare il blitz, potrebbero inserire alcuni dei loro, farli lavorare e sperare nei crediti per il merito. A questo punto starebbe alla intelligenza dei frequentatori capire se il lavoro è stato svolto per il Partito o per lo scalatore di turno.

La relativa forza locale di un Partito cammina, come tutto, sulle gambe degli uomini che lo compongono.

Questo del voto a coefficiente può sembrare un esercizio inutile, comunque a prescindere dalla bontà di questa idea, dobbiamo iniziare a cercare una via alternativa, dobbiamo tenere conto dell'importanza delle tessere e del potere che queste danno alle persone che riescono a controllarne i voti. Perché sono i congressi comunali, provinciali, regionali e nazionali a nominare i dirigenti, e se molto spesso questi congressi si riducono a un minuetto, la colpa è delle tessere e a tutto quello che ci sta dietro.

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