La scuola, quella pubblica, è la madre della nostra società civile. Il suo compito istituzionale,quello di instradare il futuro dei nostri figli, rende questa istituzione la pietra angolare della nostra comunità. Da qualche tempo la scuola si è fatta carico di una serie di compiti accessori, resi in modo contingente a quello della istruzione. Si tratta di gemme preziose, i cui benefici sono osservati solo da occhi attenti, perché queste gemme divengono frutti fuori dalla scuola stessa, nella vita di tutti i giorni. Uno di questi benefici lo vediamo ogni mattina, quando al suono della prima campanella i figli degli italiani e dei nostri immigrati si mischiano insieme nella stessa classe. L'essere veicolo di inserimento interculturale è sicuramente un beneficio sociale, l'osmosi che si crea fra questi studenti, portati a vivere gomito a gomito per un intero anno scolastico, viene amplificata quando i ragazzi, tornati da scuola, condividono i fatti della loro vita scolastica nelle loro famiglie, di italiani e di immigrati. Queste dinamiche sono fattori importanti quando il fine è l'integrazione, perché contribuiscono a colmare le distanze, di linguaggio e di costumi, che ancora oggi ci separano. C'è chi vuole limitare questa potenzialità? sfortunatamente ad oggi molti ragazzi, figli di immigrati con le loro famiglie, trovano dentro la scuola alcuni ostacoli alla loro integrazione. Qualche volta questi blocchi provengono dalle rispettive famiglie, italiane e non, spesso siamo noi stessi a proiettare sui nostri figli le nostre paure verso chi è diverso, ignorando che la diversità invece arricchisce. In altri casi questi blocchi provengono da elementi estranei sia alla famiglia che alla istituzione, dev'essere duro, ad esempio, accettare la presenza del simbolo di un'altra religione attaccato sul muro della tua classe. Il tragico di questo argomento è che ci si ostina a non vedere che quello stesso simbolo, che posto dentro una chiesa rappresenta l'accoglienza, dentro alle classi si trasforma in un suggello che certifica il presidio di un possedimento in nome e per conto della chiesa cattolica, una conquista violenta di uno spazio laico, che crea esclusioni fra i ragazzi, e che li divide fra protetti e aggrediti, e che lo fa dentro ad una classe dove tutti devono sentirsi pienamente rappresentati, perché è proprio la scuola il primo gradino verso la vita adulta, e deve essere lo stesso gradino, della medesima misura, per tutti. E invece quel crocifisso sul muro alimenta rancori. Che dire invece dell'ora di religione? Queste imposizioni, che vengono oltretutto opposte non solo verso i figli dei nostri immigrati, ma anche verso quelli degli italiani non cattolici, devono essere rimosse. Pensare ad una scuola pubblica obbligata a fare queste discriminazioni equivale ad abdicare di fronte a questa sua preziosa potenzialità, è una rinucia ad accorciare queste distanze. Lo Stato, lo dice la nostra Costituzione, è laico, la scuola, per rappresentare tutti sullo stesso piano, non può che essere laica, nei fatti come negli intenti. Che sia quindi laicamente ecumenica, libera di spalancare le sua porte e di accogliere tutti questi ragazzi, accompagnandoli insieme verso il loro futuro. Questi ostacoli vanno rimossi, oppure questa grande opportunità verrà frustrata e il traguardo della completa integrazione continuerà ad allontanarsi, con grande rimessa per tutti quanti.
28 ottobre 2010
Libera scuola in libero Stato
La scuola, quella pubblica, è la madre della nostra società civile. Il suo compito istituzionale,quello di instradare il futuro dei nostri figli, rende questa istituzione la pietra angolare della nostra comunità. Da qualche tempo la scuola si è fatta carico di una serie di compiti accessori, resi in modo contingente a quello della istruzione. Si tratta di gemme preziose, i cui benefici sono osservati solo da occhi attenti, perché queste gemme divengono frutti fuori dalla scuola stessa, nella vita di tutti i giorni. Uno di questi benefici lo vediamo ogni mattina, quando al suono della prima campanella i figli degli italiani e dei nostri immigrati si mischiano insieme nella stessa classe. L'essere veicolo di inserimento interculturale è sicuramente un beneficio sociale, l'osmosi che si crea fra questi studenti, portati a vivere gomito a gomito per un intero anno scolastico, viene amplificata quando i ragazzi, tornati da scuola, condividono i fatti della loro vita scolastica nelle loro famiglie, di italiani e di immigrati. Queste dinamiche sono fattori importanti quando il fine è l'integrazione, perché contribuiscono a colmare le distanze, di linguaggio e di costumi, che ancora oggi ci separano. C'è chi vuole limitare questa potenzialità? sfortunatamente ad oggi molti ragazzi, figli di immigrati con le loro famiglie, trovano dentro la scuola alcuni ostacoli alla loro integrazione. Qualche volta questi blocchi provengono dalle rispettive famiglie, italiane e non, spesso siamo noi stessi a proiettare sui nostri figli le nostre paure verso chi è diverso, ignorando che la diversità invece arricchisce. In altri casi questi blocchi provengono da elementi estranei sia alla famiglia che alla istituzione, dev'essere duro, ad esempio, accettare la presenza del simbolo di un'altra religione attaccato sul muro della tua classe. Il tragico di questo argomento è che ci si ostina a non vedere che quello stesso simbolo, che posto dentro una chiesa rappresenta l'accoglienza, dentro alle classi si trasforma in un suggello che certifica il presidio di un possedimento in nome e per conto della chiesa cattolica, una conquista violenta di uno spazio laico, che crea esclusioni fra i ragazzi, e che li divide fra protetti e aggrediti, e che lo fa dentro ad una classe dove tutti devono sentirsi pienamente rappresentati, perché è proprio la scuola il primo gradino verso la vita adulta, e deve essere lo stesso gradino, della medesima misura, per tutti. E invece quel crocifisso sul muro alimenta rancori. Che dire invece dell'ora di religione? Queste imposizioni, che vengono oltretutto opposte non solo verso i figli dei nostri immigrati, ma anche verso quelli degli italiani non cattolici, devono essere rimosse. Pensare ad una scuola pubblica obbligata a fare queste discriminazioni equivale ad abdicare di fronte a questa sua preziosa potenzialità, è una rinucia ad accorciare queste distanze. Lo Stato, lo dice la nostra Costituzione, è laico, la scuola, per rappresentare tutti sullo stesso piano, non può che essere laica, nei fatti come negli intenti. Che sia quindi laicamente ecumenica, libera di spalancare le sua porte e di accogliere tutti questi ragazzi, accompagnandoli insieme verso il loro futuro. Questi ostacoli vanno rimossi, oppure questa grande opportunità verrà frustrata e il traguardo della completa integrazione continuerà ad allontanarsi, con grande rimessa per tutti quanti.
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