30 novembre 2011

Anche Sergio Marchionne è un avatar

John Elkann

Dirigere multinazionali è un lavoraccio. La proprietà vuole profitti eterni e non ammette deroghe di mercato, la loro casella di posta è costantemente intasata dai cv dei concorrenti, che enfatizzano in maniera esponenziale ogni più piccola sbavatura anche tendenziale alla costante ricerca della spallata. E ogni anno le università di tutto il mondo ne vomitano sul mercato di nuovi, sempre più aggressivi. Squali, più il posto è in vista e più ce ne sono. Una vitaccia.

Sergio Marchionne è tenuto al guinzaglio dagli Agnelli, lavora per loro, è un loro dipendente.

Inutile prendersela con lui, perché lui non cambia rotta, non può cambiare, se cambia viene rimosso. Tolto "lui" ne sono pronti a milioni, con la stessa ricetta, affinata al capello, notti insonni per sfruttare l'occasione, Metodo Stanislavskij per stupire la proprietà e garantirsi il subentro.

Perché il compito di queste persone è generare profitto per chi paga loro i benefits, e mediare questa cosa con il rispetto degli altri è semplicemente inammissibile se a questo si deve coniugare un minore profitto per l'azienda, che tradotto starebbe per minori dividendi per gli azionisti e quindi defenestrazione certa a favore del successore di turno.

Il colpevole numero uno della chiusura delle fabbriche e del licenziamento dei lavoratori è la mancanza di un contrappeso da opporre a queste ciniche macchine da soldi, politici, sindacalisti, chi doveva provvedere a mantenere un equilibrio ed ha invece preferito piegarsi verso i padroni.

Riguardo questi, li immagino mentre commentano il giornale col caddie, felici di aver trovato un avatar sul quale stornare le ire dei vessati.

Gli a.d. sono un falso bersaglio.

Nessun commento:

Posta un commento